Tra memoria e storia
Il ricordo e lo studio della Shoah oggi vanno incontro a due ordini di problemi, tuttora oggetto di dibattito. Il primo argomento è legato a un processo fisiologico: la progressiva scomparsa dei testimoni, specialmente dei reduci dei campi, sta rendendo necessario il passaggio dalla memoria alla storia di un tema molto delicato ed emotivamente coinvolgente.
La testimonianza è essenzialmente un resoconto retrospettivo di eventi ai quali il testimone ha partecipato in prima persona e di cui conserva il ricordo. Le sue due componenti principali, la dimensione discorsiva e quella memoriale, la rendono una struttura di transizione privilegiata tra memoria e storia. L’accesso al passato è, infatti, mediato attraverso la memoria e la sua messa in discorso. […] Non basta che la testimonianza sia attestata, deve anche essere ratificata dai destinatari, i quali, nel processo di ricezione, arrivano a svolgere un ruolo attivo. […] Nel caso delle testimonianze della Shoah, il carattere estremo e non condivisibile delle esperienze narrate e la rottura cognitiva di cui sono portatrici possono rivelarsi problematici. La difficoltà non consiste nel rammentare la storia, ma nell’individuare e dare senso al passato di cui si testimonia. […] Il sopravvissuto si ritrova confrontato a un vero dilemma: come comunicare quest’universo irrazionale e fuori da ogni regola, che eccede i quadri cognitivi di chi riceve la testimonianza?[71].
La seconda questione che si pone è che da alcuni anni si verifica un’ampia offerta mediatica e istituzionale, soprattutto nella celebrazione del Giorno della Memoria, facendo tuttavia prevalere una ritualità talvolta priva di contenuti significativi.
Le celebrazioni del Giorno della memoria, con il passare degli anni, diventano sempre più numerose e diffuse, ma allo stesso tempo si moltiplicano i segni di un senso di saturazione o, nei casi peggiori, di fastidio, i cui motivi andrebbero attentamente indagati per evitare che si arrivi in futuro […] addirittura a un rifiuto. […] La trasmissione della conoscenza della Shoah è sempre più spesso affidata solo ai testimoni […], senza un lavoro precedente di contestualizzazione sul duplice versante della storia del nazismo e del fascismo e di quella dell’antisemitismo. Il secondo motivo su cui riflettere è la diffusa accettazione acritica della formula ormai invalsa del «dovere della memoria», che, ove no sia puramente retorica, può, malgrado le buone intenzioni, contribuire a mettere in secondo piano la conoscenza storica e a rendere fisse e ripetitive le stesse testimonianze[72].
Un sondaggio Swg del gennaio 2016 ha rivelato che gli italiani ritengono importante celebrare il 27 gennaio, ma il 22% ne ritiene esaurito il significato (“non serve più a nulla”) e 1 italiano su 6 ne colloca la rilevanza solo all’interno della comunità ebraica.
L’appuntamento con il Giorno della Memoria rappresenta ormai una realtà consolidata nella coscienza della popolazione. […] Ma al tempo stesso, e nonostante gli enormi sforzi che si compiono di anno in anno nei diversi settori della società, la percezione della Memoria appare pericolosamente minacciata e tende a sbiadire di fronte al proliferare delle iniziative che fanno riferimento al ricordo della Shoah e all’educazione delle nuove generazioni contro il rischio di nuovi genocidi. Preservare la memoria, far sì che sia difeso al meglio un irrinunciabile presidio di Memoria viva, richiede quindi l’urgente elaborazione di strategie orientate più alla qualità degli interventi che alla loro quantità. A una logica attiva, lontana dai ritualismi, dalla ripetizione retorica e dai rischi delle espressioni vacuamente vittimistiche. […] I dati della ricerca, [resi noti da] Pagine Ebraiche 24, fanno riferimento alle rilevazioni condotte da SWG nel triennio 2014-2016, su campioni rappresentativi di propri communiter, attraverso rilevazioni effettuate nel periodo compreso tra il 12 e il 22 gennaio di ogni anno, nella stagione di massima esposizione mediatica alle tematiche prese in esame. I campioni 2014 e 2015 erano composti da 1000 soggetti; il campione 2016 è invece composto da 1200 soggetti rappresentativi della popolazione italiana maggiorenne. […] Obiettivo generale dell’iniziativa è produrre un monitoraggio annuale della percezione che gli italiani hanno del fenomeno, verificandone la conoscenza spontanea e sollecitata, la percezione di rilevanza e il grado di coinvolgimento. La lettura longitudinale del dato evidenzia come nel triennio il tema del “Giorno della Memoria” sia meno vivo nella mente degli italiani, tanto che sia le percentuali di ricordo spontaneo che quelle di ricordo sollecitato sono oggi inferiori al 50 per cento del campione. Per quanto gli italiani continuino nella quasi totalità dei casi a ritenere particolarmente importante la celebrazione del Giorno della Memoria, negli ultimi due anni più di un quinto del campione ritiene che ormai si sia esaurito il significato di questa iniziativa, mentre un intervistato ogni sei ne colloca la rilevanza solo all’interno della realtà ebraica. Nel corso del triennio si è progressivamente ridotta la percezione che il Giorno della Memoria sia un atto dovuto, per quanto questa definizione sia condivisa ancora da quasi due intervistati su cinque. Nel 2016 cresce di molto invece la percezione che si tratti di un atto giusto, esprimendo forse una maggiore partecipazione emotiva e una nuova sensibilità di fronte all’iniziativa[73].
Lo stesso ruolo assunto dai campi di concentramento oggi fa riflettere. Da un lato, infatti, costituiscono l’esempio più fulgido di ciò che è stato lo sterminio e rappresentano in maniera netta e cruda la Shoah: le visite in questi luoghi, soprattutto per giovani e scolaresche, sono diventate un mezzo dirompente per parlare alle coscienze dei singoli e raccontare la tragedia. Dall’altro lato, c’è il rischio che anche questi luoghi vengano colpiti dal turismo di massa e che i resti di una prigione o di un forno crematorio siano solamente i punti dove poter fare un selfie.
Interessante a questo proposito, fra i vari esempi che si possono citare, il docu-film “Austerliz” del registra ucraino Sergei Loznitsa, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia di settembre 2016. Girato in bianco e nero nel campo di concentramento di Sachsenhausen, 35 chilometri a nord di Berlino, l’opera racconta una giornata di visita al memoriale di gruppi provenienti da tutto il mondo.
II dispositivo del film è semplicissimo: riprese fisse, spesso lunghe diversi minuti, in bianco e nero, senza commento e senza musiche, che mostrano [il campo di Sachsenhausen] oggi, trasformato in meta turistica. Del luogo si vede poco o nulla, mentre abbiamo tutto l’agio di osservare le persone, spesso giovani, che vanno in giro a frotte, camminano, si fermano un attimo, ascoltano le spiegazioni delle guide (in varie lingue) o le ascoltano in cuffia, rispondono al telefonino, si abbracciano, si mettono a correre, e soprattutto fotografano e si fotografano. Il regista non giudica, ma fa emergere quietamente la riduzione della visita al campo a esperienza fugace e innocua[74].
[71] Frida Bertolini, Gli inganni della memoria. Testimonianza, falsificazioni, negazioni, Mimesis Edizioni, Milano – Udine, 2016, p. 110-112.
[72] Anna Rossi-Doria, Il conflitto tra memoria e storia. Appunti, in Saul Meghnagi (a cura di), Memoria della Shoah. Dopo i «testimoni», Donzelli Editore, Roma, 2007, p. 59.
[73]http://www.osservatorioantisemitismo.it/articoli/percezione-della-memoria-nellopinione-pubblica-una-ricerca-elaborata-dallistituto-di-ricerche-swg-in-collaborazione-con-la-redazione-giornalistica-dellunione-delle-comunita/
[74] E. Mo., Se Auschwitz si trasforma in meta turistica, La Repubblica, 8 settembre 2016.