Antisemitismo e antisionismo
Tra le moderne forme di antisemitismo vi è la negazione del diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Questa posizione di carattere politico non si limita alla critica, assolutamente legittima, agli atti dello Stato di Israele, ma nega il diritto di Israele stesso ad esistere. Ciò avviene spesso associando la condizione remota dell’ebreo come vittima a quella di colui che occupando territori non propri si rende “persecutore” dei palestinesi, ritenuti unici legittimi proprietari di quel territorio. La realtà racconta una storia molto diversa, con vicende complesse che non sono sicuramente riconducibili a una visione manicheistica e tantomeno a un approccio che attribuisca a Israele tutte le responsabilità[82]; senza contare che gli ebrei della diaspora non sono minimamente coinvolti nelle vicende politiche israeliane. Tuttavia, l’antisionismo diventa lo scudo per giustificare nuovi atteggiamenti antisemiti; a Israele vengono attribuiti alcuni di quei pregiudizi in passato riferiti agli ebrei.
Non ci sono più ebrei in Europa, saranno ormai l’un per cento della popolazione. Prima della seconda guerra mondiale erano 30 milioni. Dove sono oggi? L’antisemitismo è anacronistico, odia qualcosa che non c’è più. Esiste ancora, certo, ma gli ebrei spariranno presto dall’Europa. Oggi l’antisemitismo si chiama “politica israeliana”, ha un oggetto diverso da quello classico. Ma quando vedi che Israele ha tutti i paesi contro, beh è una forma di moderno antisemitismo[83].
Gli intellettuali occidentali si appellano solo a Israele, perché si ritiri, perché rimuova l’embargo, perché fermi l’esercito. E poi boicottano. Boicottano gli studenti israeliani, i professori israeliani, anche le aziende israeliane di acqua gassata. In teoria, ma solo in teoria, tutto questo potrebbe anche avere un senso perché Israele è un Paese democratico con un’opinione pubblica che può influenzare le scelte del governo, mentre le altre sono organizzazioni terroristiche di stampo religioso non particolarmente sensibili alle prediche peace&love. Ma è inutile girarci intorno: l’antisionismo è il nuovo antisemitismo. È una versione aggiornata, ipocrita e politicamente corretta dell’antico pregiudizio antiebraico ben radicato a destra come a sinistra nella tradizione europea. Non c’è altro esempio di Paese messo in discussione in quanto tale. Non c’è altro esempio di Stato circondato da nemici che non ne riconoscono l’esistenza e da detrattori internazionali che lo mettono costantemente in discussione. Non c’è altro esempio di nazione criticata perché si difende da attacchi continui e ripetuti contro la sua popolazione e nonostante sia sempre pronta a deporre le armi, come ha già fatto, nel momento esatto in cui le autorità vicine smettano di voler spillare sangue ai «porci» e alle «scimmie» ebree. Certo che è lecito criticare il governo di Israele, come quello di qualsiasi altro Paese. Certo che è giusto piangere le troppe vittime civili di un conflitto armato drammatico e infinito. Epperò quando si criticano le politiche russe o tedesche o siriane o iraniane o nordcoreane nessuno nega il diritto di russi, tedeschi, siriani, iraniani o nordcoreani a vivere serenamente in uno Stato, fianco a fianco con vicini rispettosi e pacifici. Nessuno vuole cancellare la Russia, la Germania, la Siria, l’Iran o la Corea del Nord dalla cartina geografica. Nessuno li chiama con disprezzo «entità» né definisce «razzista» con egida Onu il diritto alla loro esistenza. Qual è dunque la differenza tra le critiche a questi e altri Paesi e quelle a Israele? Una soltanto: Israele è lo Stato degli ebrei. Come è possibile, inoltre, criticare il governo di Israele sempre, comunque e in ogni occasione, quando è di sinistra ma anche quando è di destra, quando è di unità nazionale e quando è di minoranza, quando cerca la pace con i vicini e quando non si fida degli interlocutori? […] Ai firmatari degli appelli contro lo Stato ebraico evidentemente non importa che Hamas abbia come obiettivo principale distruggere Israele, instaurare la legge islamica e proclamare una Palestina Judenfrei. Non gli interessa che le guerre mediorientali di aggressione araba siano cominciate il giorno stesso della proclamazione all’Onu dello Stato di Israele. Non gli risulta che lo Stato palestinese non sia nato, contemporaneamente a quello israeliano come previsto dalla risoluzione Onu 181, per espressa scelta dei Paesi arabi che invece hanno preferito attaccare gli ebrei per provare a impedire la nascita di Israele. […] L’ebreo buono è sempre quello che muore, e non è nemmeno detto[84].
Herbert Pagani , Arringa per la mia terra
Un primo esempio di attacco agli ebrei con Israele come pretesto è stata la cacciata degli ebrei dai paesi arabi, avvenuta tra il 1948 (all’indomani della nascita dello Stato ebraico) e e il 1967 (dopo le Guerra dei Sei Giorni) . Si interrompeva così una presenza plurisecolare: degli oltre 983mila ebrei presenti nel mondo arabo e in Asia Minore nel 1948, nel 1996 ne restavano meno di 50mila, concentrati soprattutto in Iran e Turchia, mentre in alcune aree erano totalmente scomparsi. Ad accompagnare le espulsioni, in alcuni casi vi furono violente persecuzioni, come il pogrom di Oujda in Marocco nel 1948 o le vessazioni perpetrate in Libia in diversi periodi, in particolare nel 1945 e nel 1948.
Una delle più note e diffuse forme di antisionismo è diventato il boicottaggio dei prodotti israeliani, come forma di delegittimazione dello Stato d’Israele. Questo tipo di contestazione è stata lanciata ufficialmente nel 2005 dal movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni): la campagna di boicottaggio ha sempre avuto un doppio standard, rivolgendosi solo contro Israele e non verso altri conflitti. Inoltre, nei documenti del BDS il linguaggio utilizzato ha messo spesso nel mirino l’esistenza stessa d’Israele e il sionismo.
Uno degli aspetti preoccupanti è che questo fenomeno ha colpito anche alcuni ambiti tradizionalmente destinati a favorire il dialogo, come lo sport o la cultura.
Di esempi a tal proposito ce ne sono numerosi. Oltraggi, profanazioni, embarghi: molteplici formule unite dall’intento di boicottare Israele e indirettamente gli ebrei. Qualche esempio: una ricercatrice norvegese, Ingrid Harbitz, scuola di veterinaria di Oslo, non ha voluto spedire un campione di sangue al Goldyne Savad Institute di Gerusalemme. A Oxford, il professor Andrej Wilkie ha rifiutato un dottorato a uno studente perché israeliano. La BBC ha rifiutato di trasmettere un concerto dell’orchestra filarmonica israeliana. Il pugile siriano Ala Ghasoun aveva deciso di non partecipare alle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016 per non gareggiare contro un avversario israeliano in Azerbaigian; durante i giochi olimpici, il judoka egiziano Islam El Shehaby, dopo aver perso il match contro l’israeliano Or Sasson, ha rifiutato di dargli la mano come da consuetudine. Nel 2015, la squadra di calcio olandese del Vitesse Arnhem, in occasione di una tournée negli Emirati Arabi dovette lasciare a casa il proprio giocatore Dan Mori, al quale rifiutarono il visto in quanto israeliano.
La connessione tra antisemitismo e antisionismo costituisce un elemento di triste novità che non elimina, peraltro, il persistere di fenomeni di antisemitismo più tradizionali, ossia limitati agli ebrei senza connessioni con lo Stato di Israele. La possibilità di condividere diverse culture e sensibilità costituisce di fatto oggi una delle sfide delle identità moderne e della convivenza tra popolazioni che si muovono in diverse realtà nazionali e territoriali.
[82] Si vedano le unità sul Sionismo e sullo Stato d’Israele.
[83] Francesca Paci, Oggi il vero antisemitismo è l’odio per Israele. Intervista ad Aharon Appelfeld, La Stampa, 27 gennaio 2017.
[84] Christian Rocca, Criticare Israele si può, ma così è nuovo antisemitismo, Il mensile del Sole 24 ORE, 22 agosto 2014, p.21.
[85] Si vedano le unità sulla Diaspora, paragrafo “Dalle prime alyhot allo Stato d’Israele”.