La santità del tempo

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L’ebraismo è una religione del tempo, che mira alla santificazione del tempo. A differenza dell’uomo, la cui mente è dominata dallo spazio, per cui il tempo è invariato, iterativo, omogeneo, per cui tutte le ore sono uguali, senza qualità, gusci vuoti, la Bibbia sente il carattere diversificato del tempo: non vi sono due ore uguali; ciascuna ora è unica, la sola concessa in quel momento, esclusiva e infinitamente preziosa.
L’ebraismo ci insegna a sentirci legati alla santità nel tempo, a essere legati a eventi sacri, a consacrare i santuari che emergono dal grandioso corso di un anno. I Sabati sono le nostre grandi cattedrali; e il nostro Santo dei Santi è un santuario che né i Romani né i Tedeschi sono riusciti a bruciare, un santuario che neppure l’apostasia può facilmente distruggere: il Giorno dell’Espiazione. Secondo gli antichi rabbini, non è l’osservanza del Giorno dell’Espiazione, ma il Giorno stesso, l’”essenza del Giorno” che, con il pentimento dell’uomo, espia le colpe di quest’ultimo.
Il rituale ebraico può essere caratterizzato come l’arte delle forme significative nel tempo, come architettura del tempo. La maggior parte delle sue osservanze – il Sabato, la Luna Nuova, le feste, l’anno sabbatico e l’anno del giubileo – sono connesse a una certa ora del giorno o a una stagione dell’anno[2].

Per trovare il momento a partire del quale l’uomo ebreo in sé fa il suo ingresso nella storia, bisogna risalire il tempo fino alle sue origini.

Per trovare il momento a partire del quale l’uomo ebreo in sé fa il suo ingresso nella storia, bisogna risalire il tempo fino alle sue origini.
Perché l’ebreo non è nato nel giorno della sua nascita. (…)
L’uomo ebreo è nato con Adamo, il primo uomo, nel quale erano già deposti i germi dell’ebreo, insieme con quelli dell’intera umanità. (…)
Essendo nato col mondo, l’ebreo porta in sé, con sé, il ricordo di eventi che tutti gli altri uomini hanno dimenticato o cancellato o obliterato, consciamente o inconsciamente, da tempo, ma di cui egli mantiene la presenza attraverso la storia, e di cui risuscita la presenza ad ogni sabato (…)[3]

Sin dai tempi più antichi, l’uomo ha avuto la necessità di misurare il tempo.
Tale bisogno era connesso a esigenze legate alle attività agricole in primis, ma anche alle pratiche religiose e ad aspetti vari della vita economica e sociale.

Il calendario ebraico è un calendario solare-lunare: che cosa vuol dire?
Tre sono i tipi di calendari diffusisi nel tempo: quello solare, quello lunare ed infine quello solare-lunare.

  1. Il calendario solare si basa sulla rivoluzione della Terra attorno al Sole.
    Il tempo che la Terra impiega per completare un ciclo completo, e che comprende le quattro stagioni, è di circa 365 giorni. Secondo questo calendario le stagioni iniziano sempre lo stesso giorno e i mesi non seguono esattamente il ciclo delle fasi lunari.
  2. Il calendario lunare si riferisce alle fasi della Luna.
    Il suo limite è rappresentato dal fatto che, essendo il mese lunare più corto di quello solare, necessita spesso di correzioni per riallinearlo al moto della Terra e quindi al ciclo stagionale.
    Di questo tipo è il calendario islamico.
  3. Il calendario solare-lunare si basa sia sull’anno solare che sulla durata del mese lunare: gli anni e le stagioni seguono infatti il ciclo del Sole, i mesi invece seguono i cicli lunari.
    Il calendario ebraico, come si diceva, è di quest’ultimo tipo.

Il mese segue il calendario lunare ed ha la durata di 29 o 30 giorni; il ciclo delle festività segue invece il calendario solare.
Per consentire questa sincronia, circa sette volte nell’arco di 19 anni, è necessario che, agli anni di durata di 12 mesi, se ne aggiunga uno di durata di 13 mesi.
Il mese, nel calendario ebraico, inizia con ogni novilunio. Rosh chòdesh (capomese) indica ogni primo giorno di un nuovo mese: quando Dio diede a Mosè la prescrizione del calcolo del tempo, gli mostrò infatti la luna nuova.

Il legame con la Luna, per il popolo ebraico, è del tutto peculiare: l’essenza stessa dell’uomo sembra trovare specularità nel ciclo lunare.

Molte spiegazioni sono state avanzate per giustificare la preferenza accordata dall’ebraismo al ciclo lunare piuttosto che a quello del sole. È certo che una particolare relazione ha legato l’astro lunare alla vita dell’uomo sin dai primordi dell’umanità.
La Luna, con la sua periodicità, è stata considerata l’astro che stabilisce i ritmi dei cicli della vita, in particolare delle piogge, della vegetazione, della fertilità e della fecondità.
In secondo luogo, questa relazione è stata determinata dal fatto che sia l’uomo che l’astro lunare risultano assoggettati alla legge del divenire ovvero a momenti in cui si cresce, si cala e si sparisce, o piuttosto in cui si cala, si sparisce e si cresce perché, si badi bene, la scomparsa della luna è seguita sempre da una rinascita, la luna nuova, per cui mai il suo oscuramento è da considerarsi definitivo.
Questi motivi sono talmente presenti nell’ebraismo che la luna ha occupato un posto di grande rilievo nella tradizione. Nella coscienza ebraica la luna è diventata per l’individuo una specie di archetipo, un richiamo di memoria continua e perenne, e il suo rinnovarsi diviene il simbolo di un rinnovamento spirituale e psicologico[4]

La misura del tempo da parte degli ebrei incontra altre particolarità:

  • La scansione dei giorni: essi iniziano al tramonto allo spuntare di tre stelle e terminano la sera successiva, nuovamente allo spuntare di tre stelle. Nella Genesi infatti si dice “Così fu sera e fu mattino, un giorno… un secondo giorno, un terzo giorno…, un quarto giorno” e così via.
    Comunemente l’inizio di un nuovo giorno è dato dalla comparsa della prima luce; nella visione ebraica la concezione è inversa: il buio cioè precede la luce, una concezione filosofica della vita come tensione al miglioramento e alla positività.
  • Il computo degli anni: il dies a quo è il sesto giorno della creazione del mondo, ossia quello della creazione dell’uomo.

Le ricorrenze ebraiche, quindi, seguono una cadenza solare-lunare e una sequenza tramonto/tramonto: su queste scansioni si definisce la divisione tra ciò che è sacro (kadòsh), il giorno dedicato a Dio, e ciò che è feriale (khol), dedicato all’uomo.

Vale la pena soffermarsi, prima di analizzare nello specifico le festività ebraiche, sul giorno più importante nella vita di ogni individuo ebreo, e che ricorre ogni settimana: lo Shabbàt.

[2] Abraham Joshua Heschel, Il Sabato, Rusconi, Milano, 1972, pp. 14-15
[3] Andrè Neher, Chiavi per l’ebraismo, Marietti, Genova, 1988, p. 21
[4] Roberto Della Rocca, Con lo sguardo alla luna. Percorsi di pensiero ebraico, Casa Editrice Giuntina, Firenze 2015, p. 44

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