Genesi e fonti
Gli ebrei non sono definibili solo in relazione a un credo religioso: sono una collettività che ha delle regole e che costruisce la propria identità culturale attraverso pratiche, rituali, usi, tradizioni, normative, sistemi di valori, modi di essere e di pensare nati dalla loro esperienza in diversi tempi e luoghi.
Gli ebrei sono il risultato di un costante confronto con la storia e con altri gruppi umani con cui hanno convissuto, sono l’esito di un processo di ibridazione, rimescolamento, riscrittura dei propri modi di essere e di pensare.
La fonte originaria per la comprensione della cultura ebraica è la Torah.
La Torah è nota anche con la denominazione di Pentateuco, ossia l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. In questi testi è contenuta la storia degli ebrei dalla Creazione del mondo all’uscita dall’Egitto (riconducibile verosimilmente a un’epoca compresa tra il X e l’VIII secolo a.e.v.). Le fasi storiche seguenti sono narrate dagli altri testi che compongono la Bibbia ebraica: i libri dei profeti (in ebraico Neviìm) vanno dalla morte di Mosè fino alla costruzione del secondo BethHamikdash, il Santuario di Gerusalemme[1]. Tra i libri dei Profeti vi sono Giosuè, i Giudici, Samuele, i Re, Isaia, Geremia, Ezechiele. Gli Scritti (Ketuvìm in ebraico) sono tredici libri appartenenti a varie categorie: salmi, saggi, annali. La Torah, i Profeti e gli Scritti insieme formano la Bibbia ebraica, Tanakh in ebraico, termine che indica con un acronimo proprio questi testi. La Torah, scritta da Mosé sotto dettatura di Dio, rappresenta il testo più sacro dell’ebraismo.
Come s’intuisce dalla traduzione del termine (Torah = insegnamento), essa rappresenta il testo base per conoscere la tradizione e da essa discende la Halachà, la “normativa”, che esprime in termini pratici come realizzare le indicazioni della Torah. La raccolta delle norme e delle disposizioni halaciche, la Mishnah, costituisce la “materia prima” del Talmud, che le raccoglie insieme ad altro materiale descrittivo, l’haggadà, il racconto degli eventi. Opera monumentale, il Talmud è scritto in due periodi storici diversi per cui ne esistono due redazioni: la babilonese (del V, VI secolo d.e.v., cioè dopo la nascita di Gesù) e la palestinese (successiva al V secolo d.e.v.)[2].
Il Talmud tra passato e presente
La Torah – con il supporto dei testi menzionati e di altri commenti – non è configurata solo come sede del messaggio di Dio all’uomo, ma come un importante e completo testo per la formazione dell’individuo ebreo. Gli esempi, le parole, le vicende in essa narrate sono per l’ebraismo la fonte di principi e istruzione.
Cos’è la Torah? “Il libro dei libri” – Servizio Sorgente di vita
L’uso dello strumento biblico implica un ruolo fondamentale, una funzione assolutamente significativa del ricordo e del racconto, come mezzi di formazione che, attraverso narrazioni allegoriche di fatti e personaggi, cercano di facilitare la comprensione e l’apprendimento di valori e di linee di condotta appropriate alle diverse situazioni di vita. Ciò è dovuto, in misura non trascurabile a un secondo cardine della trasmissione culturale in ambito ebraico: il valore della “pratica” rispetto all’adesione formale.
L’attuazione concreta dei principi biblici costituisce l’elemento portante, nella pratica religiosa quotidiana e nell’ambito di manifestazioni familiari e collettive, legate alle ricorrenze e alle festività. L’uomo, per l’ebraismo, viene influenzato dalle azioni che compie, e che la sua mente e i suoi pensieri seguono, indirizzate verso il bene o verso il male.
La trasmissione culturale, la coscienza e la conoscenza si costruiscono, attraverso l’esperienza concreta, quindi con lo studio, la comprensione, l’interpretazione e l’analisi della propria tradizione.
L’insistenza dell’ebraismo sulla funzione “concreta” di ogni espressione religiosa, la concezione “didattica” delle pratiche quotidiane determina la sacralità di ogni atto. Azione e conoscenza sono, per l’ebraismo, intimamente legate.
L’ebraismo si configura, in questa logica, non solo come un riferimento di fede, ma anche come un modo di concepire il mondo e la vita che si realizza attraverso comportamenti dettati da un insieme di norme etiche e insegnamenti morali[3].
Le vicende del popolo ebraico presentano una relazione particolare con le norme prescritte dalla tradizione, che, anche per chi non la rispetta integralmente, ha un ruolo decisivo nella connotazione identitaria. In assenza di un ambito “politico istituzionale” ebraico, la dimensione del sacro, nei suoi testi nella loro esegesi, nelle regole, nei suoi rappresentanti ha assunto, nel corso dei secoli, un rilievo fondamentale nella salvaguardia della connotazione specifica del popolo ebraico.
I principi essenziali di tale Tradizione sono così sintetizzabili:
- la fede nel Dio unico, Signore dell’universo, essere spirituale e non raffigurabile. È un Dio dell’etica, della giustizia e, nel contempo, della bontà, della misericordia, del perdono. Non è il Dio di una gente, ma il Dio di tutti i popoli;
- il richiamo a due indicazioni precise: “ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua potenza”; e, parallelamente, “ama il prossimo tuo come te stesso”;
- il riconoscimento dell’elezione del popolo ebraico quale elezione etica, che impone maggiori doveri. La santità è non solo nella comunione con Dio, ma con l’azione fra gli uomini;
- la fiducia nel fatto che, nel mondo, non c’è nulla di eternamente corrotto e malvagio. Ogni cosa uscita dalle mani di Dio è suscettibile di miglioramento. Il mondo è una benedizione, non una condanna. La responsabilità nella realizzazione del bene è collettiva e l’uomo gioca la sua parte in questo incessante processo;
- l’accettazione della “tradizione” quale fondamento dell’azione, la legge quale traduzione concreta dell’etica ed espressione di un dovere.
Nel corso dei secoli, gli eventi hanno portato il popolo ebraico a confrontarsi con le diverse forme culturali delle aree geografiche in cui si è trovato a vivere, dando luogo a un insieme di costumi, orientamenti e comportamenti variamente articolati, ma accomunati nell’intimo da quella stessa radice tradizionale che ne caratterizza la specificità e ne condiziona i comportamenti sociali e individuali.
La Tradizione ebraica si configura, in ragione di quanto esposto, come la base culturale di diverse comunità facenti parte di società più ampie, di cui sono condivisi diritti e doveri, lingue e consuetudini[4]. La realtà delle diverse comunità suggerisce di attribuire la sopravvivenza dell’ebraismo alla sua capacità di definire e ridefinire se stesso in diversi contesti, di assimilare da questi conoscenze pratiche senza assimilarsi, salvaguardando l’unitarietà dei principi di riferimento e assumendo forme d’aggregazione diverse. Il complesso sistema di relazioni, costituito dalle comunità ebraiche nei diversi paesi, col mutare dei tempi e dei costumi, si è trovato ad affrontare i cambiamenti nei processi di socializzazione, nella trasmissione dei valori, nei modelli di comportamento.
Gli ebrei, in sostanza sono uomini e donne che la storia ha spesso costretto a mutare paese[5], incrociare altra gente, interrogarsi sulla propria cultura, sul proprio modo di essere.
La cultura ebraica è un costante processo di costruzione e di ricostruzione, fondato su un rapporto con sistemi culturali con cui gruppi diversi di ebrei, in luoghi diversi sono entrati in contatto. E, nella storia, evolve la riflessione degli ebrei rispetto ai temi dell’identità, della cultura, delle relazioni con le istituzioni, con altre comunità, con persone di tradizioni diverse. La peculiarità di tale condizione esistenziale appare basata sul confronto continuo con la diversità, in una permanente tensione verso il superamento di possibili incomprensioni, in parte simili a quelli con cui si confrontano oggi le nostre società di fronte ai fenomeni migratori.
“Molti dei nostri contemporanei – scrive Bauman – sono stranieri poco sappiamo delle loro vite, meno capiamo. Assumiamo che, ove comunichiamo con loro, dovremmo superare la mutua incomprensione, un ostacolo che scaturisce dalla poca chiarezza, o forse impenetrabilità dei segni che denotano le intenzioni di ciascuno”[6].
Da ciò, l’interesse per una dinamica che ha riguardato per molti secoli gli ebrei e oggi tutte le popolazioni di molti paesi e realtà culturali.
[1] Si veda l’unità sul Sionismo, paragrafo “Popolo ebraico e Terra d’Israele”.
[2] Si veda l’unità sulla diaspora, paragrafo “Il senso dell’esilio”.
[3] Si veda l’unità sulla libertà.
[4] Si veda l’unità sulla Società civile, paragrafo “Ebrei e stato di diritto”.
[5] Si veda l’unità sulla Diaspora.
[6] S.Bauman, Strangers: The Social Costruction of Universality, in Telos, n. 78, 1988-89, pp. 7-43, p. 7
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