“Occhio per occhio, dente per dente”

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Il celebre motto “occhio per occhio, dente per dente”, la cosiddetta legge del taglione, trova dimora per la prima volta nella Torah[30].

Questo principio è spesso stato utilizzato per alimentare un pregiudizio verso l’ebraismo, volto a raffigurarlo come religione crudele e vendicativa, in contrapposizione alle parole rassicuranti e miti del Vangelo[31] e all’altrettanto celebre motto del “porgi l’altra guancia”.
A ben vedere però, la Torah, introducendo questo principio, enuncia un concetto che è divenuto cardine di tutti i sistemi normativi contemporanei.
Occhio per occhio infatti, non va letto nel senso della giustificazione del farsi giustizia da soli, bensì nell’accezione ben più elevata secondo cui la pena deve sempre essere commisurata all’entità del delitto compiuto e non essere più alta.
La stessa equivalenza va, inoltre, intesa in senso non letterale: dove la colta è legata a un’offesa sul corpo di chi è colpito, la pena per il colpevole è una punizione di carattere pecuniario, non fisico: il risarcimento, per qualunque responsabilità, è di carattere economico.
Interpretando la celebre fase della Torah “occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede”, il grande Rabbino ed interprete della Torah, Rashì di Troyes, nato nel 1040 in Francia, diceva:

Qualora avesse accecato l’occhio del suo prossimo, gli risarcirebbe l’occhio valutando quanto questa persona varrebbe al mercato degli schiavi, tenendo conto di quella menomazione. Analogamente per tutti gli altri casi. Non s’intende che si deve provarlo a sua volta dell’organo menomato. Cosi hanno spiegato i nostri Maestri (…)[32].

È importate, in questo specifico e tanto male interpretato caso, come in tanti altri, non limitarsi al senso letterale di quanto scritto nella Torà, ma – con l’aiuto della tradizione orale, del Talmùd – interpretare correttamente le parole del testo, secondo cui sarebbe più corretto dire che ogni punizione deve essere commisurata (economicamente) al danno arrecato.

Questo famoso caso ci dimostra come non esiste affatto, per chi ha subito un torto, la libertà di farsi giustizia da sé, ma il dovere preciso di far applicare una sanzione che deve essere equa rispetto al danno subito.

Del resto, non ha mai trovato dimora presso il popolo ebraico l’idea di poter farsi giustizia da sé.
Sin dai tempi antichi infatti esisteva un organo super partes, il Sinedrio, delegato all’amministrazione della giustizia, quella che derivava dalla Torah.

Sebbene non raccolte in un codice apposito, la Torah contiene norme di diritto civile e di diritto penale e può per questo considerarsi una prima forma di ordinamento giuridico.

[30] Esodo, 21, 24.
[31] Si veda l’unità sull’antisemitismo, paragrafo “L’antigiudaismo cristiano”, e l’unità sul dialogo, paragrafo “L’Impero romano”.
[32] Rashi di Troyes, Commento all’Esodo, a cura di Sergio J. Sierra, Marietti, Genova, 1988, p. 186

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