Gesù
Uno degli equivoci in cui si cade più spesso è quello di dimenticare alcuni elementi essenziali della figura dello stesso Gesù, il quale nacque, visse, predicò e morì da ebreo.
Tutto ciò che si conosce di Gesù dimostra che egli era ebreo, non solo ebreo per la sua fede, per la sua religione, ma per la sua nascita. Storicamente parlando non esiste testimonianza più solenne, più sicura dell’apostolo Paolo, suo contemporaneo. Parlando dei suoi compatrioti ebrei, l’Apostolo si esprime in questi termini: «… I miei fratelli, parenti miei secondo la carne, che sono Israeliti, e ad essi appartengono l’adozione, la gloria, le alleanze e la legge, e il culto e le promesse e i patriarchi, da cui è nato il Cristo secondo la carne (Romani, IX, 3-6)». […] Un artigiano, un semplice artigiano ebreo, tale appare Gesù nelle narrazioni evangeliche. […] Egli viveva e lavorava presso la sua famiglia a Nazareth, piccola città della Galilea, nella Palestina del Nord[1].
Gesù Cristo, che noi adoriamo come Dio, ma anche come vero uomo, è nato in Giudea e vi ha predicato la sua dottrina. E dalla Giudea i suoi discepoli, tutti ebrei, si sono sparsi per il mondo. Più la critica approfondisce lo studio di questo movimento religioso, più essa riconosce il suo punto di partenza ebraico, cosa che per noi non nuoce minimamente alla sua originalità divina[2].
Maria, madre di Gesù. Essa si chiamava Mariam o Miriam. Maria è la trascrizione italiana di questo nome semitico che talvolta si allungava nel nome di Mariamne o, più spesso, si abbreviava in quello di Maria. Semitici erano tutti gli altri nomi della famiglia […]. Semitici i nomi dei vicini e dei parenti. […] Lo stesso evangelista Luca, medico greco secondo quanto ci viene tramandato, ci tiene a farci sapere che la famiglia di Gesù osservava i precetti fondamentali della legge mosaica[3]. Il nome «Gesù» è la trascrizione greca Iesous del nome ebraico Jeshua o Yehoshua, che si trova pure sotto la forma Giosué e che significa «Dio salva»[4].
Le stesse festività cattoliche evocano l’ebraicità di Gesù: se il 24 dicembre si celebra la sua nascita, 8 giorni dopo, il 31 dicembre, non si ricorda altro che la sua circoncisione, pratica consacrata dalla Torah, Bibbia ebraica (in nome del patto di Abramo con Dio) e abolita dal cristianesimo, non senza una certa esitazione e alcuni dibattiti. In altri termini, il Capodanno può dirsi una festività cristiana che commemora un rito ebraico. Analogamente, l’ultima cena altro non era che il seder di Pesach, la cena rituale della Pasqua ebraica[5].
Questo è un fatto attestato dai Vangeli, soprattutto dai Sinottici: fino alla sua ultima ora Gesù non ha cessato di osservare i riti essenziali del giudaismo. Lo abbiamo visto salire al Tempio di Gerusalemme per la celebrazione delle grandi feste religiose: Festa delle Capanne (Giovanni, VII, 14), Festa della Dedicazione (Giovanni, X, 22), festa di Pasqua (riferimenti numerosi dei quattro Vangeli). Non mettiamo neppure in dubbio che recitasse la preghiera quotidiana detta lo Shemà; la testimonianza più valida è la risposta che Gesù dà allo scriba che gli domanda nel Tempio: «Quale è il primo di tutti i comandamenti?» e Gesù rispose: «Il primo comandamento è questo: “Ascolta Israele (Shemà Israel), il Signore nostro Dio è l’unico Signore”» (Marco XII, 28-29)[6].
Così ha cominciato a formarsi nella coscienza cristiana (se così ardisco chiamarla) il tema del Crimine, dell’Indegnità, della Maledizione, del Castigo d’Israele, castigo collettivo come collettivo lo stesso crimine, riunendo in un tutto «l’Israele carnale», l’Israele decaduto, condannato, l’Israele-Giuda, l’Israele-Caino. Tema che si riallaccia, senza confondersi, con un altro tema divenuto tesi dottrinale, quella del Popolo-Testimone. Riservato da Dio, aveva detto l’ebreo san Paolo, per la pienezza della conversione finale. Miserabile testimone «della propria iniquità e della nostra verità» dice S. Agostino trecento cinquant’anni dopo, e segnato da Dio come Caino con un marchio che ad un tempo lo preserva e lo contraddistingue, lo addita alla esecrazione del mondo cristiano[7].
A scatenare l’ostilità e il rifiuto cristiano verso gli ebrei fu soprattutto l’accusa di deicidio, ossia di aver ucciso Gesù. Un’infamia che sarà cancellata solo dopo quasi duemila anni, con la Dichiarazione Nostra Aetate emanata con il Concilio Vaticano II nel 1965.
Le basi dell’accusa di deicidio erano poco solide. Gesù nelle sue predicazioni si rivolgeva principalmente a indigenti e bisognosi; metteva l’accento su alcuni temi già presenti nel patrimonio spirituale dell’ebraismo come l’amore e l’umiltà. Non si inserì però in nessuna delle correnti o sétte del mondo ebraico presenti all’epoca, facendo sospettare che volesse diventare “Re dei Giudei”. Sembrava che mettesse a rischio la sovranità di Roma. Questa fu l’accusa politica che lo portò davanti al Procuratore romano Ponzio Pilato, unico soggetto competente ad emettere condanne a morte.
Dall’interrogatorio di Pilato, dalla domanda che egli rivolge a Gesù in termini identici nei racconti dei quattro Vangeli (“Sei tu il re dei Giudei” = che pretendi essere il re dei Giudei), risulta con evidenza che l’accusa principale mossa contro Gesù è quella di essere un agitatore messianico. Gesù è accusato di pretendere al titolo di Messia-Re, il che era un delitto agli occhi dei Romani, ma niente affatto agli occhi degli Ebrei[8].
A prima vista si resta colpiti dall’accordo, almeno apparente, dei quattro evangelisti su quello che è il fondo del dibattito: le responsabilità ebraiche. Nei quattro racconti lo schema, con qualche variante, è identico: Ponzio Pilato, bonario procuratore, disposto a lasciar libero Gesù; gli Ebrei, ferocemente accaniti, che preferiscono a Gesù un Barabba; e finalmente Pilato che cede alle loro pressioni, alle loro minacce, al loro ricatto: Barabba libero, Gesù crocifisso. […] Allo storico che legge e rilegge i quattro testi, appare chiaramente che una sola verità di fatto si sprigiona con evidenza: Gesù è stato flagellato, poi crocifisso per ordine del procuratore romano[9].
Gesù fu condannato alla crocifissione come previsto dalla legge romana, così come accadde a migliaia di altri ebrei del tempo colpevoli di reati più o meno gravi.
Inverosimile questo onnipotente procuratore che, nel suo imbarazzo, chiede agli Ebrei, suoi sudditi, ai sommi sacerdoti, sue creature, che cosa può fare del prigioniero Gesù. Inverosimile questo massacratore di Ebrei e Samaritani, colto ad un tratto da scrupoli verso un Ebreo della Galilea, sospetto di agitazione messianica, che va a mendicare per lui la pietà degli Ebrei. […] Inverosimile questo funzionario romano che, per rifiutare ogni responsabilità ricorre al rito simbolico ebraico della lavanda delle mani. […] Inverosimile questo governatore energico, pronto a soffocare nel sangue ogni rivolta, […] che per compiacere alla folla degli Ebrei, consente a mettere in libertà un agitatore “famoso”, incarcerato sotto l’accusa di sedizione e di omicidio. […] Inverosimile questo magistrato che stabilisce la legge nella sua provincia e che sembra ignorarla, quando dice ai sommi sacerdoti, suoi interlocutori: “Prendetelo voi e crocifiggetelo” (Giovanni, XIX, 6). […] Inverosimile questa giustizia romana, sempre così formalista, che, nel caso del processo a Gesù, sembra aver rinunciato a tutte le forme usuali, a tutte le regole della sua procedura. Ma più inverosimile ancora, […] questa folla ebraica […] invaso all’improvviso da furore contro Gesù, al punto da andare da Pilato, l’odiato Romano, per esigere da lui che il profeta tanto ammirato poco prima […] sia messo in croce secondo l’usanza romana, da soldati romani[10].
Gesù è morto condannato dal procuratore romano Pilato, crocifisso dai soldati romani, per causa di agitazioni messianiche, senza dubbio per istigazione d’un gruppo ebraico di cui i sommi sacerdoti Anna e Caifa sono stati o sembrano essere stati gli elementi responsabili. La storia non sa, non raggiunge e non può dire niente di più[11].
[1] Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p. 35.
[2] Padre M. J. Lagrange, Le judaisme avant Jésus Christ, p. IX, cit. in Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p.33.
[3] Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p. 39-41.
[4] Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p. 46.
[5] Si veda l’unità sul calendario ebraico, paragrafo “Ricorrenze, celebrazioni, festività” e l’unità “La libertà e i suoi limiti”, paragrafo “La tradizione di Pesach”.
[6] Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p. 74.
[7] Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p. 245.
[8] Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p. 319.
[9] Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p. 331.
[10] Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p. 335-336.
[11] Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p. 355.