L’Età Moderna e Contemporanea

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La fine del Medioevo, con le conseguenze economiche, sociali e politiche che comportò, in alcuni casi significò per gli ebrei un lieve miglioramento. Alcuni pontefici furono anche benevoli nei confronti degli ebrei, come nel caso di Leone X. Furono incoraggiate stampe del Talmud e fu addirittura istituita una cattedra di ebraico presso l’Università di Roma. Ma proprio da parte della Chiesa venne la principale limitazione delle libertà fondamentali dell’età moderna, ossia la chiusura nei ghetti. Il primo ghetto fu istituito a Venezia nel 1516[17], ma nello Stato Pontificio il sistema fu istituzionalizzato. All’inizio del ‘500, sulla scia della Riforma luterana, infatti, la Chiesa prese a vigilare più severamente su ogni forma di alterità, reprimendola: qui rientrò anche il destino degli ebrei. Nel 1543 venne fondata la Casa dei catecumeni, istituto finalizzato alla conversione, spesso forzata, di ebrei e altri infedeli. Il decennio successivo segnò la svolta più clamorosa.

Giulio III, asceso al soglio pontificio nel 1550, aveva radicalmente modificato l’atteggiamento della Chiesa riguardo agli ebrei e al Talmud, e di lì a poco Paolo VI avrebbe istituito il ghetto, nel 1555. Momento culminante di questa politica fu il decreto dell’Inquisizione del 12 settembre 1553, con il quale venne ordinata la condanna, la confisca e il rogo pubblico di tutti i Talmud, in quanto contenenti bestemmie contro la fede cristiana. Il 9 settembre i libri ebraici erano giù stati dati alle fiamme a Roma in Campo de’ Fiori[18].

Il 14 luglio 1555 Papa Paolo IV emanò la bolla Cum nimis absurdum, inizio del progetto segregazionista che avrebbe avuto termine solo nel 1870 con l’unificazione dell’Italia.

Nel documento si rintracciano un gran numero di idee, rappresentazioni e stereotipi che erano diffusi da secoli, ma che ora trovano una sistemazione completa e definitiva che avrebbe influenzato a lungo la storia delle relazioni tra ebrei e cristiani: la colpa del deicidio, la riduzione in schiavitù quale punizione inflitta da Dio in conseguenza della colpa, l’ingratitudine verso chi li aveva accolti e tollerati, le aspirazioni al dominio sui cristiani, soprattutto l’insolente mescolanza con questi ultimi, con la pretesa di circolare senza segni di riconoscimento – e di esclusione-, di abitare in mezzo a loro, di prendere a servizio personale cristiano[19].

Papa Paolo IV

Papa Paolo IV

Con un’altra bolla del 1569 il papa costrinse le comunità di molti centri ad emigrare e fece chiudere un gran numero di sinagoghe nel territorio dello Stato pontificio. Le vessazioni erano infinite. Si ricordano le prediche forzate, i rapimenti di bambini […] obbligati alla conversione. Si ricordano le gare di corsa istituite per il Carnevale: oltre a quelle di cavalli nostrani e berberi (provenienti dall’Africa), quelle degli ebrei, che si svolgevano tra gli schiamazzi della folla[20].

La grande trasformazione rivoluzionaria della società europea tra il 1770 e il 1830 (con le rivoluzioni politiche, l’industrializzazione, la cultura romantica) imprime una nuova svolta radicale al rapporto tra la Chiesa e gli ebrei. Da parte cattolica ci si irrigidisce infatti nella ripetizione dei meccanismi mentali e politici dell’età della Controriforma. […] Questo irrigidimento antimoderno è accompagnato da una significativa ripresa della polemica antiebraica. […] Colpita dall’avvio dei processi di laicizzazione e di separazione tra Chiesa e Stato, profondamente contraria ai fermenti liberali e democratici, Roma nel corso del XIX secolo […] manifesta la più viva ostilità verso l’emancipazione degli ebrei percepita «come un’ulteriore spinta alla scristianizzazione». Alla fine del periodo napoleonico Pio VII ne revoca l’emancipazione e Leone XII, nel 1823, ripristina le antiche norme speciali (divieto di commercio e proprietà al di fuori del ghetto, elevato prelievo fiscale, ecc.). […] Alla metà del secolo, in relazione all’intensificarsi della crisi rivoluzionaria, la Chiesa, ed il cattolicesimo europeo con essa, vennero ad assumere un atteggiamento sempre più ostile verso gli ebrei[21].

Il rapporto tra le due religioni non conobbe dunque un miglioramento neppure con l’epoca dell’emancipazione e della secolarizzazione; anzi, questi fenomeni finirono per indurre la Chiesa ad inasprire i suoi atteggiamenti o a recuperare gli approcci più severi.

Nel 1858 un caso veramente straordinario fece scoppiare uno scandalo nell’opinione pubblica colta europea: la polizia pontificia strappò a Bologna ai suoi genitori un bambino ebreo di sei anni, Edgardo Mortara, solo perché si era scoperto che una domestica cristiana, credendolo in fin di vita, lo aveva segretamente battezzato. Sulla base delle antiche prescrizioni dello Stato della Chiesa, il bambino non poteva vivere con i genitori ebrei e doveva essere educato cattolicamente, tanto che fu preso personalmente sotto la «protezione» del papa[22].

Alla fine dell’’800, sulla scia delle conseguenze dell’illuminismo e del romanticismo, la Chiesa era incalzata da ambienti politici, economici e intellettuali sempre più anticlericali e laici. Questa difficile congiuntura non mutò il suo atteggiamento nei confronti degli ebrei, visti come responsabili, insieme a massoni e ad anticlericali, della fine del potere temporale dei papi e dei loro appoggi politici nelle altre potenze. Numerosi furono gli articoli antisemiti della stampa intransigente romana.

Nel 1871 il canonico August Rohling, professore di teologia a Praga, pubblicò un volume […] [che] riproponeva il tema del programma ebraico di dominio del mondo e l’antica idea che vedeva nel Talmud il breviario anticristiano di una religione segreta e pervertita[23].

L’unificazione dell’Italia con la presa di Roma il 20 settembre 1870 segnò la fine dello Stato Pontificio e contemporaneamente l’abbattimento delle mura del ghetto di Roma. Una prima apertura c’era stata nel 1848 all’epoca della Repubblica Romana, ma il quartiere era rimasto luogo di segregazione e di miseria: strade strette, condizioni igieniche precarie, spazi ristretti per troppa popolazione. Con questa data iniziò una nuova era per i circa 5mila ebrei romani: fu l’avvio dell’emancipazione, già conquistata dagli ebrei del resto d’Italia nei decenni precedenti attraverso il percorso dell’unificazione. L’aspetto più significativo fu la piena acquisizione dei diritti civili e politici che gli ebrei ottennero, quindi la facoltà di studiare, di iscriversi all’università, di girare liberamente senza permessi speciali. La partecipazione degli ebrei italiani alla vita nazionale fu subito molto attiva, con una piena condivisione dei valori fondanti dello Stato italiano.

La breccia di Porta Pia. Durata:00:06:30 – Sorgente di vita del 22/09/2015

La svolta degli ebrei romani ebbe ripercussioni su tutti i rapporti tra Chiesa ed ebrei, inserendosi nel più complesso processo di secolarizzazione che coinvolgeva gran parte del Continente europeo.

Con il XX secolo si ebbe un momento di svolta. L’antisemitismo cattolico iniziò infatti un lento e graduale regresso, proprio mentre si accresceva quello di stampo razzista. Da qui i dibattiti sull’atteggiamento della Chiesa di fronte alla Shoah. L’antigiudaismo cattolico dei secoli precedenti mantenne qualche influenza, ma a prevalere nel XIX e nel XX secolo fu l’unica componente dell’antisemitismo di matrice razziale, che raggiunse il suo apice con il nazismo[24]. Pio XI (1922-1939), pur scontrandosi con alcune tendenze presenti in Vaticano, avviò un ripensamento della questione ebraica, facendo trapelare da alcune sue dichiarazioni una condanna dell’antisemitismo. Si adoperò anche per un’enciclica (mai pubblicata però) in cui denunciava il carattere totalitario assunto dallo Stato contemporaneo. Il suo successore Pio XII, al soglio pontificio dal 12 marzo 1939, intraprese una linea più morbida e più diplomatica. Con la guerra alle porte, evitò scontri con nazismo e fascismo. E tutto il cattolicesimo europeo ebbe una linea molto moderata e non interventista a fronte del crescente antisemitismo in Europa sul finire degli anni ’30.

La tragica vicenda degli ebrei nella seconda guerra mondiale può essere compresa solo tenendo conto delle radici profonde dell’antisemitismo all’interno dell’Europa cristiana. […] La lunga tradizione dell’antigiudaismo cattolico, di una teologia e di una Chiesa che «per secoli hanno disprezzato e violato la dignità del popolo ebraico». […] Nazisti e fascisti stessi dichiararono apertamente di essersi ispirati alla tradizione della cristianità. […] Erano senza dubbio affermazioni in larga parte strumentali. Tuttavia, […] si deve ammettere che […] l’antisemitismo nazista ha inventato ben poco, ereditando dei significativi precedenti[25].

Il ruolo della Chiesa, del Pontefice Pio XII e dei cattolici nel corso della seconda guerra mondiale è stato al centro di numerosi studi. Tra i fedeli, numerosi sono stati coloro che hanno protetto e nascosto amici, conoscenti o anche semplici sconosciuti ebrei in fuga dalle deportazioni, così come spesso chiese e conventi sono stati aperti per ospitarli. A questo proposito è stato coniato anche il concetto di “Giusti delle Nazioni”, coloro che misero a rischio le loro vite pur di mettere in salvo gli ebrei dalle persecuzioni. Il ruolo dei “giusti” è fortemente sentito dall’ebraismo: chi ha salvato vite umane a rischio della propria durante gli anni della Shoah, anche una sola vita, viene onorato con una medaglia conferita dall’Autorità Nazionale di Gerusalemme Yad Vashem e viene ricordato piantando un albero a suo nome, simbolo del ricordo eterno. Un verso del talmud recita “Chi salva una vita, salva il mondo intero”.


Liliana Picciotto per il Giardino dei Giusti di Milano, 5 maggio 2009

Tuttavia, in numerosi casi le porte sono state chiuse, senza contare i delatori che hanno denunciato gli ebrei che si nascondevano.

È fuori discussione che ci fu un ruolo importante delle comunità cristiane nell’aiutare e salvare gli ebrei. Nell’Europa sottoposta alla marea montante dell’Asse, di fronte alla debolezza generale di tutte le istituzioni, le chiese (cattolica, protestante, ortodossa) sono rimaste del resto, senza dubbio, tra le poche realtà che in qualche modo li abbiano difesi, oltre che con interventi diplomatici o con la condanna del razzismo, con una serie concreta di gesti[26].

Molto controverso il ruolo di Pio XII (1939-1958). Non era possibile cancellare un’atavica ostilità in breve tempo. Il Pontefice raccoglieva poi l’eredità dell’antisemitismo cattolico dei secoli precedenti. L’accusa rivolta al suo operato è quella di essere stato più attento a difendere i parametri della diplomazia, senza rompere le relazioni col Reich, piuttosto che ad assumere una chiara e inequivocabile denuncia dei crimini nazisti.

Pio XII

Pio XII

Nel 1942, lo sterminio era noto e avrebbe potuto essere invocato e attaccato sul piano morale con la forza e l’autorevolezza della Santa Sede. Le retate degli ebrei in Francia e in Olanda provocarono forte emozione nel cattolicesimo di questi Paesi che giunse anche in Vaticano. Sulla stampa occidentale, specie americana, iniziarono a comparire i primi articoli sulle camere a gas. Eppure la Santa Sede non operò alcun intervento.

Come avrebbe precisato il 6 ottobre al suo governo [quello degli Stati Uniti] Tittmann, la Santa Sede era infatti ancora convinta che “una denuncia aperta ad opera del papa delle atrocità naziste […] non potrebbe avere per risultato che la morte violenta di ben più persone ancora. […] Un altro motivo, è il suo timore che se egli lo fa ora, il popolo tedesco, nell’amarezza della disfatta, lo rimprovererà più tardi di avervi contribuito, sia pure tardivamente”[27].

Pacelli rimase fedele alla sua politica ed al suo carattere: scelse la via diplomatica. Imbevuto di formazione giuridica, abituato al rispetto degli accordi e delle firme, credeva probabilmente più all’efficacia di passi discreti che all’effetto di pubbliche proteste[28].

Quanto avvenne a Roma durante l’occupazione tedesca manifestò con chiarezza i limiti della linea di condotta assunta dalla Santa Sede ma non portò a nessun cambiamento di indirizzo. […] Non è chiaro se la Santa Sede ebbe sentore di quanto si preparava e se fece qualcosa per evitarlo. Quando si seppe della richiesta dell’oro fatta dai tedeschi alla comunità ebraica per lasciarli in pace, il papa offrì non un dono, come più volte affermato, ma un prestito se la somma richiesta non fosse stata raggiunta. Alle prime notizie della razzia, dichiarò quindi di essere sorpreso. […] Fu messa in atto una calcolata manovra diplomatica per cercare di difendere una parte degli ebrei senza venir meno però al «silenzio» della Santa Sede. Una protesta fu dunque solo minacciata nella speranza di ottenere essenzialmente l’interruzione degli arresti di massa e la liberazione almeno di qualcuno degli arrestati[29].

Ciò che accadde è storia. Alle prime ore del mattino del 16 ottobre 1943, i tedeschi rastrellarono gli ebrei di Roma per deportarli ad Auschwitz. Le SS, spesso con la complicità dei fascisti, irruppero casa per casa, prima nella zona del ghetto, subito dopo anche negli altri quartieri della città. Portarono via intere famiglie: uomini, donne, vecchi, bambini, malati. Gli arrestati vennero poi tutti radunati e fatti salire su camion coperti da teloni neri. Furono poi rinchiusi nella sede del collegio militare, in via della Lungara, non lontano proprio dal Vaticano. Qui rimasero per circa 48 ore. Due giorni dopo, il 18 ottobre 1943, dalla stazione Tiburtina, partì un convoglio con 1024 persone. All’arrivo ad Auschwitz solo 149 uomini e 47 donne superarono la selezione. Gli altri morirono subito tutti nelle camere a gas. Alla fine della guerra fecero ritorno solo in 16; tra questi, solamente una donna.

Pio XII ne fu informato mentre la razzia era ancora in corso. Ma la notizia che era stata decisa un’azione contro gli ebrei circolava da non meno di dieci giorni negli ambienti militari e diplomatici tedeschi. […] Avuta notizia della razzia in atto, la stessa mattina del 16 il cardinale Maglione convocò l’ambasciatore tedesco Weizsacker. Del colloquio egli lasciò un resoconto autografo. […] Due aspetti, mi sembra, risultano abbastanza evidenti da tale resoconto. Il primo ripropone l’estrema riluttanza della Santa Sede a pronunciare una pubblica protesta: una massiccia deportazione era in corso ma il cardinale continuava a parlare del fatto che «la Santa Sede non deve essere messa nella necessità di protestare», limitandosi a richiedere all’ambasciatore «di voler intervenire a favore di quei poveretti», «fare qualche cosa per i poveri ebrei». […] Il secondo aspetto che sembra emergere dal colloquio […] è il tentativo di ottenere l’interruzione degli arresti di massa […] e la liberazione di qualcuno almeno degli arrestati [30].

Sull’atteggiamento della Chiesa e di Pio XII in occasione della deportazione degli ebrei di Roma si è sviluppato un lungo e complesso dibattito.


“Il viaggio del Papa” – servizio Sorgente di Vita maggio 2009 su convegno a yad vashem

[17] Si veda l’unità sull’antisemitismo, paragrafo “I ghetti”.
[18] Marina Caffiero, Storia degli ebrei nell’Italia moderna. Dal Rinascimento alla Restaurazione, Carocci, Roma, 2014, p. 62.
[19] Marina Caffiero, Storia degli ebrei nell’Italia moderna. Dal Rinascimento alla Restaurazione, Carocci, Roma, 2014, p. 101-102.
[20] Marina Della Seta, “Procedi dinanzi a me”. Storia semplice dell’ebraismo, La Fenice Edizioni, Roma, 1992, p. 132-133.
[21] Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 48-50.
[22] Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 50-51.
[23] Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 52.
[24] Per approfondimenti si veda l’unità sull’antisemitismo, paragrafi “L’antisemitismo oggi” e La Germania nazista”.
[25] Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 35-36.
[26] Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 17.
[27] Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 139.
[28] Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 160.
[29] Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 173-176.
[30] Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli, Milano, 2000, p. 250-255.

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