Popolo Ebraico e terra d’Israele

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La Terra d’Israele è legata agli ebrei sin dai tempi biblici: promessa da Dio ad Abramo, terra dei patriarchi, punto di arrivo degli ebrei usciti dall’Egitto dove erano stati ridotti in schiavitù. Sono numerosi i passi della Bibbia ebraica in cui vi compaiono riferimenti.

Il Signore apparve ad Abramo e gli disse: “Ai tuoi discendenti darò questa terra [la Terra di Canaan]”[2]

Abramo si stabilì nella terra di Canaan, Lot nelle città della pianura e piantò le tende fino a Sodoma. […] Dopo che Lot si fu separato da lui, il Signore disse ad Abramo: “Alza gli occhi dal luogo dove ti trovi e guarda a settentrione, a mezzogiorno, a oriente e a occidente; tutto il paese che vedi, lo darò a te e alla tua discendenza in perpetuo[3].

Abramo è stato il primo dei patriarchi, poi seguito da Isacco e Giacobbe, chiamato da Dio anche con il nome “Israele”, principe di Dio. I dodici figli di Giacobbe diedero origine alle Dodici Tribù del popolo ebraico.

Non si può capire il nazionalismo ebraico se non si mette bene in evidenza l’attaccamento fisico degli ebrei alla terra di Israele (Eretz Israel). La liturgia ebraica vi affonda le proprie radici, le feste parlano del paese di Israele e alcune di esse, legate ai raccolti, sono intimamente connesse alla terra. Altre ricordano frutti locali che non è facile trovare in Europa. […] La terra di Israele è più di un territorio. L’alterarsi dei rapporti del popolo ebraico con la sua terra è il segno di un’alterazione dei suoi rapporti con Dio. In altri termini, il ritorno degli ebrei nella terra di Israele, per lavorarla, equivale a riparare un rapporto con Dio guastato dall’Esilio. Al centro del pensiero ebraico, Eretz Israel è anche il luogo privilegiato dove osservare i precetti, lì si conduce una vita religiosa piena, a differenza di quella dell’esilio, segnata dal marchio della provvisorietà[4].

Anche dopo l’uscita dalla schiavitù egiziana e il peregrinare nel deserto, gli ebrei fecero ritorno nella Terra Promessa, ovvero la Terra di Israele, che venne divisa tra le Dodici Tribù. Inizialmente, non esisteva un vero e proprio Santuario, così i pellegrinaggi si svolgevano presso il Tabernacolo, un santuario provvisorio. Re Salomone, figlio di re Davide, costruì il Bet Ha Mikdash, il Tempio di Gerusalemme, punto d’incontro fra Dio e il suo popolo; era il Santuario nel quale risiedeva permanentemente la presenza immanente di Dio.

“Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi, la mia mano destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia[5]

Il centro spirituale della vita ebraica fu edificato a Gerusalemme, per ben due volte. Il Bet ha Mikdash fu costruito sotto re Salomone tra l’833 e l’826 avanti l’era volgare – a.e.v. (prima della nascita di Gesù) e venne distrutto dal re babilonese Nabuccodonosor nel 586. Il secondo tempio fu ricostruito poco meno di un secolo dopo, al ritorno dall’esilio babilonese, e rimase in piedi fino alla deportazione dei romani nel 70 dopo l’era volgare – d.e.v.. Oggi non rimane che una parte del Muro Occidentale, in ebraico Kotel Hamaraavi, che mantiene ancora massima sacralità per l’ebraismo.

Il Secondo Tempio. Ricostruzione

Muro Occidentale, oggi

Comunque la Palestina restava sempre la terra santa dell’ebraismo, e Gerusalemme col Tempio la capitale religiosa. Ogni ebreo adulto acconsentiva a pagare l’imposta (un didramma) per il mantenimento dell’unico santuario. Ogni anno migliaia di pellegrini andavano a Gerusalemme per celebrarvi la Pasqua e per portare al Signore le loro offerte[6].

Speciale Tg1St 2017/18 “Voci di Gerusalemme” – 25/02/2018

Dopo l’epoca dei Re, Saul, David e Salomone (XI-X secolo a.e.v.), gli ebrei si divisero tra il Regno d’Israele a nord (comprendente dieci tribù) e il Regno di Giuda a sud (che includeva le tribù di Beniamino e, appunto, di Giuda). Le vicende del territorio si intrecciarono quindi con quelle delle altre popolazioni stanziate in Asia Minore: nell’VIII secolo ci fu l’invasione degli Assiri a nord, mentre il Regno di Giuda dovette soccombere alcuni decenni più tardi all’invasione babilonese che provocò anche la distruzione del tempio. Al ritorno in patria, gli ebrei alternarono periodi felici e di totale autonomia a fasi conflittuali con i popoli vicini e invasioni straniere, fino alla conquista romana. L’arrivo dei romani significò il mantenimento di un’autonomia formale, ma di fatto segnò la sottomissione a Roma. La rivolta degli ebrei negli anni 60 portò a una repressione culminata con la conquista di Gerusalemme e con la distruzione e il saccheggio del Tempio. La conclusione del conflitto si ebbe nel 74 con la presa della città di Masada, ma la data chiave è il 70 d.e.v., a cui si ricollega l’inizio della diaspora e, conseguentemente, l’avvio del difficile percorso di ritorno alla base. La deportazione da parte dell’imperatore romano Tito interruppe dunque il legame degli ebrei con la loro patria[7], che restò però punto di riferimento nei pensieri e nelle preghiere di ogni ebreo. L’inizio della diaspora, la dispersione degli ebrei nel mondo, non impedì che alcune migliaia di loro rimanessero a vivere nella Terra Promessa.


Tra le rovine di Masada – Superquark 05/07/2017

Sotto l’Impero romano gli ebrei attraversarono diverse fasi, non senza persecuzioni. Adriano cancellò la Giudea dalla carta geografica, ribattezzandola volutamente Palestina in onore dei filistei, gli antichi nemici degli ebrei.

Per gli ebrei fu dunque impossibile per tutti i secoli successivi ristabilire un solido legame con la Terra d’origine per diverse ragioni: anzitutto, le condizioni di subalternità a cui erano costretti, talvolta discriminati se non perseguitati[8], rendevano loro impossibile l’idea di organizzarsi e di recuperare l’identità nazionale; i domini susseguitisi in Medio Oriente (bizantini, arabi, turchi), inoltre, non concepivano un’idea nazionale di tipo moderno; lo stesso concetto di Stato come lo intendiamo oggi fece la sua apparizione solo nel 1648, con la pace di Westfalia, all’indomani della Guerra dei Trent’anni, e necessitò comunque di uno sviluppo prima di giungere all’odierna definizione. Nell’impero ottomano, che controllò l’area mediorientale fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, prevaleva tra l’altro una concezione di tipo feudale, lontana dalle evoluzioni politiche e sociali che caratterizzarono lo sviluppo europeo. Nel XVII e nel XVIII secolo, gli ebrei erano stati spesso chiusi nei ghetti o limitati nelle loro attività: l’ipotesi di creare uno Stato in quell’area geografica non era contemplabile.

[2] Genesi, 12, 7.
[3] Genesi, 13, 12-15.
[4] Georges Bensoussan, Une histoire intellectuelle et politique du sionisme, Fayard, Paris, 2002 (trad. It. Il sionismo. Una storia politica e intellettuale, 1860-1940, 2 voll., Einaudi, Torino, 2007, p. 193.
[5] Salmo 137.
[6] Jules Isaac, Gesù e Israele, Nardini Editore, Firenze, 1976, p. 111.
[7] Si veda l’unità sulla Diaspora, paragrafo “I romani”.
[8] Si veda l’unità sull’antisemitismo, paragrafo “L’antigiudaismo cristiano” e successivi.

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